Ieri.
7.30, la sveglia suona da un'ora. Ogni cinque minuti. Il coinquilino batte sul muro e lamenta parole incomprensibili. Io mi giro sul lato giusto del letto e mi prometto: solo cinque minuti. Ne passano venti. Squilla il telefono. Dove sono? Arrivo subito, sono per strada. Dammi cinque minuti. La bocca impastata di sogni non mente.
La fotocopiatrice è il mio pastore, non manco di nulla.
È lunedì, sono tutti strani. Hanno quell' aria malsana di smog sotto gli occhi e tra i capelli. E poi mi odiano perché ho fatto tardi. Guarda che l'autobus si è rotto, non sono stata bene stanotte, il mio gatto è scappato di casa, la lavatrice è esplosa, non ho sentito la sveglia. La sveglia l'ho sentita. Tante volte.
Non ho portato il pranzo. Devo uscire e fuori piove. Devo scegliere. Mara cucina solo carne e nei panini mette la maionese. Ho un pacchetto di crackers suicidi nella borsa. Posso rimettere insieme i pezzi, chissà che disegno esce fuori.
Sabato sera ho conosciuto una ragazza. E se ci penso sorrido. Mi ha scritto il numero di telefono nel tovagliolino di un bar. Lo tengo in tasca, nella speranza di gettarlo distrattamente insieme alla carta delle gomme. Chiamami! E poi che le dico? Ciao, sono Giorgia, ecco t'ho chiamata! Ci penso più tardi. Ci penso domani. Sì, domani giuro la chiamo. Ma poi che le dico? La chiamo e non dico niente. La chiamo e resto in silenzio. Ed attacco. Così poi richiama lei ed il problema è suo.
E poi che mi dice?
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