Sono nati i fiori gialli







Quattro mura; una finestra; un solo piccolo scorcio di cielo. In certi giorni azzurro, pieno di canzoni e ossigeno, un parallelogramma apparentemente senza profondità. In verità la porta per l'universo.
Altri giorni bianco, una tavola vuota, uno spazio da riempire.

Sono stanca e dilaniata nel mio pigiama; Ho i capelli legati e spettinati, la mia testa è una lacuna. Una laguna con le isole ma c'è l'alta marea.

Ho dormito profondamente ma sono ancora sveglia; per un po' di tempo sono stata fuori, sono tornata nei miei ricordi, nei miei posti individuali, negli spazi scomponibili che hanno formato il mio puzzle. Ci sono stata per pochi attimi, intensi e immensi, viscerali.
Quello scorcio lo frugo con gli occhi, mentre l'universo lo sento entrare nella pancia. È sconosciuto ma lo sento forte. Mi appartiene. È mio.

Quattro mura; una finestra; di pomeriggio entra il sole. Non conosco la stagione, io sono il primo giorno di primavera che si ripete assiduo e crea frastuono. Sono un fiore intrappolato nel cemento. Sento la terra forte sotto ai piedi, mi fanno male le gambe. Mi fanno male. Respiro piano. 
Non conosco il lunedì e nemmeno il sabato. Oggi è come ieri, quattro mura e una finestra. Uno scorcio. E di pomeriggio, il sole che entra.

Avrei potuto giurarci. Ieri sera ho visto i fuochi d'artificio. Dal balcone di casa tua. Sono anche stata seduta sulla spiaggia di Barcellona. C'era vento e avevo i piedi nudi.

Sono lo zero.
Tutto questo ha distrutto ogni cosa. Non ho timori. In fondo lo zero non è che uno spazio ovale, che magari scrivi imperfetto e la linea non si unisce, che magari puoi uscire. Non piove da giorni o forse non me lo ricordo. Fuori sono nati i fiori gialli e sono arrivate le rondini.
Sono seduta al centro dello zero. O sono lo zero. Ancora non lo so.

Dentro quattro mura. È qui che combatto, contro di me, contro di te, contro chi non conosco. Non so perché sei venuto a farmi questo.
Ho sentito il dolore, la paura, ho sentito l'ignoto dentro. È una brutta sensazione, ti viene il terrore, ti fa dimenticare tutto, cancellare l'intorno. Resti dentro di me, resto dentro di me, mentre tremo, mentre l'aria non entra, l'aria non entra.
Entra il sole di pomeriggio e si posa sulla pelle, attraversa le tende bianche, sono al sicuro sotto le lenzuola e non voglio mai andarmene.

Mi guardo dormire, guardo te, l'altra me, che hai vissuto la vita prima di me. Guardo le tue cicatrici e non mi annoio di guardarti, perché ogni volta che ti vedo, vedo qualcosa di nuovo. Di vecchio, consumato. Di nuovo ancora.

Quando starò bene vorrò andare in un campo. Voglio cercare l'albero più alto. Arrampicarmi e trovare una casa. Con i pavimenti e i davanzali in legno.  Se arriva il vento mi tengo forte, così non cado. E posso guardarla di più.
Poi ci vado. Spazzo via la polvere e pianto i semi nel giardino.
Quando starò bene lascerò uscire l'universo dalla pancia. Mi appartiene, è mio. E andrò nel posto in cui mi sento a casa.





Questo corto è dedicato a me e a chi come me combatte contro il covid-19.
Mi sono ammalata la sera del 4 marzo. Sono andata in ospedale per problemi respiratori, sfinita, il 28 dello stesso mese. La febbre è durata 35 giorni e ho preso antibiotici per un totale di 34 giorni. Mi sto curando a casa. Non sono ancora in grado di camminare più di qualche metro. Oggi sono 43 giorni che sono qui. Ora guardo la finestra, guardo i fiori nascere attraverso la tenda. Aspetto la chiamata per il secondo tampone. Accadrà tra una decina di giorni, la febbre ora è passata ma la ripresa è lenta. Mi fa male il polmone. Ho le gambe a pezzi.
Il covid fa paura e non si conosce. Non sai cosa succede perché con ognuno si comporta in modo diverso. Io non smetterò di combattere contro la malattia fino al risultato negativo. Poi penserò al resto.

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