Tic e tac

Disegno di Giardino Zen

Dai, non ha importanza.

Assolutamente nessuna.
No no, non importa se ho sentito qualcuno picchiettare con le nocche sul vetro della finestra. Sicuramente è stata la mia immaginazione. D'altra parte siamo al quinto piano, come potrebbe un uomo picchiettare alla mia finestra?
Sono qui con gli occhi chiusi con le mani premute contro le orecchie per non sentire quel rumore. 

Lalalala! Lo copro con la mia voce. Non lo sento. Non esiste. O meglio, sì che esiste, ma solo nella mia testa.

Lalala! Lalala! Non c'è nessuno che picchietta.
Oh, ma adesso ho cominciato a seguire il ritmo di quello strano ticchettio. Devo smetterla. Proviamo a cantare una canzoncina, così, tanto per distrarmi. C'era quella filastrocca, quella che cantavo da bambino battendo le mani.

Ero in bottega, tic e tac, che lavoravo, tic e tac, e non pensavo, tic e tac, alle prigioni tic e tac, ma un brutto giorno, tic e tac, la polizia, tic e tac, mi portò via, tic e tac ...

E se volesse portarmi via anche l'uomo che bussa alla finestra? Oh no, che idiozie sto dicendo, non sta bussando nessuno. Il dottore mi ha detto che sono malato, che ho una cosa che si chiama schizofrenia. Devo stare molto attento. Non devo dar peso alle allucinazioni.

... Da casa mia, tic e tac, ma io furbone, tic e tac, presi un bastone, tic e tac, e lo picchiai, tic e tac, su quel testone, tic e tac!

L'infermiera si stancò di bussare. Il paziente della 164 si era chiuso di nuovo in camera, bloccando la porta con il suo corpo. S'incamminò pigramente lungo il corridoio. "Adesso chiamo Giliani e che lo sposti lui, quel matto! Si spiaccica sempre dietro l'uscio con i suoi cento chili e non lo sposta più nessuno. Ah, ma io non mi rovino la schiena per quello scemo, ci penseranno gli altri a spostarlo da là dietro. Busso io, busso. E quello niente!"




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