Il filo sottile che ci univa

Starlet_eyes Photography
Muoveva la sigaretta tra le dita, mentre l’odore dei mozziconi spenti nel posacenere si mischiava con quello dell’asfalto. C’era un silenzio endemico. Tipico dei pomeriggi d’estate. Il termometro segnava trentasei gradi. Sotto a quel portico, seduto su quella sedia di plastica, tirò fuori dalla tasca l’accendino. E con un lungo tiro la accese. Tre secondi. E poi buttò fuori il fumo e tutta l’aria rarefatta rimasta nei polmoni.

Mentre fumava, battendo le dita della mano sinistra sul tavolo, in sincrono con i suoi battiti lenti, sentì aprirsi tutte le cicatrici.
Si ritrovò ancora una volta sensibilmente toccato. Segnato.


Solo il rumore. Delle dita. Ovattato. Nell’aria.

Insomma. Le esperienze marchiano. Le cose succedono e non le dimentichi più.
Pensi di chiudere tutto in un cassetto, a chiave. Invece poi basta tirare un po’ e ti accorgi che l’apertura è incomprensibilmente elementare. E senza bisogno di cercare troppo a fondo, ritrovi subito i dolori accantonati, i disordini e i lamenti. Ritrovi i silenzi e gli sguardi persi nel vuoto. I pezzi contusi, la colla con cui hai provato a riattaccarli. Secca.
Ritrovi tutto lì. Nell’afa. Di un pomeriggio d’estate in partenza. In quelli dove il calore della pelle rimarca i segni delle bruciature.
Ritrovi quel Ti amo scritto su uno specchio, che non era per te.
Ritrovi due linee parallele infinite, un tempo eterno e pochi attimi, consumati, lisi.

Era solo. Era solo da troppo tempo. Era stato solo troppo a lungo. E aveva bisogno di uscire dai muri che si era costruito intorno.
Ma per la prima volta restò fermo. Avvolto dalle sue paure. Da quel passato ancora vivo.
Non riuscì ad alzarsi. Restò immobile a pensare che il tempo non era mai stato un nemico. Ma che comunque gli sarebbe mancata la sintonia, l’empatia.
Quella sentita da sempre, ma mai realmente condivisa.

Fu in quel momento che la sua totalità di essere, di vivere ogni emozione, venne sostituita da una lontananza scritta dal dolore.

Non aveva dubbi nel cuore. Lì, non ne aveva mai avuti.

Ma troppe volte si era sentito respinto. Troppe volte, forse, troppe volte la vide andare via. E sempre ritornare vicino. Ma non abbastanza. Non fu mai la prima scelta per lei. Non ebbe mai la possibilità di provare a renderla felice.

Prese in mano il bicchiere sudato. Bevve la sua birra con sorsi autorevoli, senza respirare tra un sorso e l’altro.
Restò immobile su quella sedia. Senza pensare a niente. Con il filo sottile che li univa, spezzato, nella tasca dei jeans.

Lo chiuse nel cassetto, appena giunto a casa.

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