Il tempo di uno sguardo

Illustrazione e foto: Giardino Zen
Uno zaino sulle spalle e un gran casino in testa. 
Sperava di non averla fatta troppo grossa, stavolta.
Nadia si dovette fermare vicino ad un cassonetto per riposarsi un po'. Aveva corso per almeno due chilometri ad una velocità folle, nella speranza che non la prendessero.
"E infatti non mi hanno beccata" pensò con una certa soddisfazione, boccheggiando per la fatica.
Si tolse lo zaino e lo poggiò sul marciapiede. Le bombolette al suo interno si scontrarono, producendo un rumore metallico. Nadia sorrise.
Il graffito che aveva appena fatto sarebbe stato un brutto colpo per la nuova giunta comunale. Si sedette sul cemento e contemplò la grigia città davanti ai suoi occhi, pensando che lo squallore della periferia non l'avrebbe mai inghiottita come aveva fatto con i suoi genitori, lei avrebbe resistito.
Sfilò l'Ipod dalla tasca destra dei jeans sgualciti e regolò il volume al massimo. La dubstep scivolò nelle sue orecchie come un grido di battaglia misto ad un'esplosione di creatività. 

Ce l'avrebbe fatta a salvarsi l'anima da quell'inferno di cemento.

E gli altri l'avrebbero notato. In ogni suo graffito c'era una ribellione che era impossibile reprimere. I colori violenti dei suoi disegni balzavano agli occhi dei passanti, le parole che scriveva sui muri offendevano le anziane signore perbene. Nadia entrava nella vita di chiunque vedesse un suo graffito, anche solo per il tempo di uno sguardo. 

Penso dunque sono diceva Cartesio. 

Ma il pensiero non basta, il pensiero è invisibile. Il colore invece si vede benissimo.

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